podcast
Dal sacrificio di Mentana un monito per il futuro
ARCHIVI COLLEGATI
Archivio dell'Istituto Internazionale di Studi "Giuseppe Garibaldi"
Roma - Piazza della Repubblica, 12
Disponibile dal 6 giugno.
La Campagna dell’Agro Romano del 1867, sfortunato tentativo garibaldino di liberare Roma unendola all’Italia, si era conclusa tragicamente il 3 novembre di quello stesso anno con la battaglia di Mentana, che destò una forte impressione, anche per l’alto costo in vite umane. Il valore delle camicie rosse, infatti, poté ben poco contro le armi pontificie e dei francesi, moderne e funzionali, soprattutto contro gli chassepots, quei fucili a retrocarica con percussione ad ago che secondo il generale de Failly avevano fatto meraviglie.
Furono per primi i poeti a consegnare ai posteri la memoria dei caduti nella sanguinosa battaglia, a cominciare da Luigi Mercantini, a cui si deve anche il testo dell’Inno di Garibaldi, che con un linguaggio crudo non risparmiava nessuno dei nemici di Roma in un componimento scandito dal lugubre ritornello
Rimbomba, rimbomba, terribil campana,
noi siamo le schiere dei morti a Mentana.
Nella lirica di Giosuè Carducci Per il V anniversario della Battaglia di Mentana, gli spettri dei caduti tornavano ogni anno nel luogo della loro morte e rivolgevano all’Italia parole piene di dolore guardando all’incerto futuro:
Per te gittammo l’anima
Ridenti al fato nero;
E tu pur vivi immemore
Di chi morìa per te.
Ad altri, o dolce Italia,
Doni i sorrisi tuoi;
Ma i morti non obliano
Ciò che più in vita amâr;
Ma Roma è nostra, i vindici
Del nome suo siam noi:
Voliam su ’l Campidoglio,
Voliamo a trionfar.
Anche la Società dei Reduci dalle Patrie Battaglie “Giuseppe Garibaldi”, di cui il nostro Istituto conserva l’Archivio, volle trasmettere la memoria del tragico avvenimento alle generazioni future ideando e sostenendo l’erezione di un’Ara-ossario per accogliere i resti di circa 300 garibaldini che avevano dato la loro vita per costruire un domani migliore, per creare una nazione unita e libera, più giusta e inclusiva .
Il monumento di Mentana fu innalzato nel 1877, dieci anni dopo la battaglia. Interamente in peperino, era stato ideato da Alessandro Castellani e realizzato dall’architetto romano Augusto Fallani.
Nel grande basamento quadrato si aprono due porte di tipo etrusco. Su quella orientale, che introduce nell’ossario, è scolpita una frase dettata da Francesco Domenico Guerrazzi:
La bocca di questo sepolcro
Manda ai viventi una voce che dice
Siate men vili
E
Fate oh fate
Che per la patria
E per la libertà
Non siamo morti
Invano
E qui stanno la forza e il monito di questo monumento: quei giovani non saranno morti invano se verranno ricordati e presi a esèmpio dalle generazioni a venire.
La porta occidentale conduce al podio, a tre gradoni, su cui si eleva la grande ara di tipo romano, allusione alla grandezza e alle idee del periodo repubblicano antico. Sull’ara brillava una fiamma a ricordo dei caduti per la liberazione di Roma.
Nella sede del nostro Istituto, fino all’inizio dei restauri ormai quasi terminati, si conservava il modello in peperino dell’Ara, opera dello stesso Augusto Fallani, con scolpita una dedica A IMPERITURA GLORIA.
Nel nostro Archivio sono presenti molti documenti riguardanti Mentana: lettere sulle commemorazioni, corrispondenze con il municipio della cittadina, pratiche per i rimborsi ferroviari ai soci che volevano partecipare alle commemorazioni della battaglia. Naturalmente non mancano le schede di iscrizione alla Società di molti reduci che avevano partecipato alla Campagna dell’Agro Romano.
Il monumento di Mentana era divenuto subito una meta di pellegrinaggio per tanti devoti della patria, ma anche per semplici curiosi. Qualche anno dopo l’inaugurazione, nel 1881, fu al centro di un piccolo scandalo, con tanto di strascico giudiziario. Alcuni visitatori, soprattutto stranieri, avevano mostrato un interesse esagerato per gli scheletri stipati in casse di legno. Il loro desiderio di portarsi a casa un macabro souvenir si poteva facilmente realizzare grazie alla complicità del custode del monumento, un certo Matteo Maccari, ex gendarme pontificio, che a fronte di una lauta mancia donava a chi ne facesse richiesta ossa di garibaldini. Pare che ci fosse addirittura un prezzario: 20 lire per un teschio e 5 per una costola!
Il triste commercio doveva andare avanti da un pezzo, quando una lettera anonima ne avvisò la Società dei Reduci dalle Patrie Battaglie di Roma, che avviò subito una verifica. Due soci andarono a Mentana, fingendosi turisti, e chiesero di poter entrare nel monumento. Elargirono una bella sommetta al custode e ne ebbero in cambio una tibia.
Un autorevole membro della Società, l’avvocato Felice Giammarioli, denunciò il fatto al Procuratore del Re e fu aperta un’istruttoria. L’8 ottobre del 1881 Maccari venne arrestato, portato a Roma e condotto a via Giulia, alle Carceri Nuove. Seguirono il processo e la condanna a un anno di reclusione “compreso il sofferto”.
Finalmente nel dicembre del 1898 si procedette all’inaugurazione del nuovo interno dell’Ara, studiato in modo che non potessero più avvenire furti sacrileghi: le vecchie casse di legno furono sostituite da un grande sarcofago in marmo bianco di Carrara realizzato dallo scultore romano Gaetano Andreoli.
Un cronista del “Corriere della Sera” ipotizzava nel 1898 che le profanazioni messe in atto dal custode avessero portato alla dispersione di circa duecento scheletri. Aveva calcolato abbastanza bene: nell’ottobre del 2018 un antropologo forense, Walter Pantano, ha sistemato e catalogato tutte le ossa rimaste nel sarcofago, che poi è stato munito di un nuovo vetro: sono risultati presenti 78 scatole craniche per un totale di circa 90 individui. Se il reato non fosse stato scoperto in tempo anche quei resti sarebbero andati dispersi e non avrebbero potuto far giungere a noi la loro testimonianza.
Testi di Cinzia Dal Maso
L’Inno di Garibaldi è stato eseguito dal Coro ASDOE (Associazione Docenti Europei) di Cassino, durante il Convegno I grandi molisani dell’Ottocento, organizzato dalla sezione Molise dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi” presso il Museo Nazionale di Castello Pandone di Venafro (IS).
M° Mauro Niro.
Pianista M° Suraya Zaidi.
CREDITI
Testi di Cinzia Dal Maso L’Inno di Garibaldi è stato eseguito dal Coro ASDOE (Associazione Docenti Europei) di Cassino, durante il Convegno I grandi molisani dell’Ottocento, organizzato dalla sezione Molise dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi” presso il Museo Nazionale di Castello Pandone di Venafro (IS). M° Mauro Niro. Pianista M° Suraya Zaidi.